La fine di una relazione di coppia rappresenta un momento doloroso, che può generare rabbia e frustrazione ed è spesso caratterizzato dalla sensazione di un fallimento personale.
In alcuni casi può apparire difficile ritrovarsi e rinnovarsi in una propria progettualità individuale, poiché non si dice addio solo all’altro, ma anche ad una parte di sé e della propria più intima identità che con l’altro e attraverso l’altro avevamo costruito.
Questo tanto più è vero e difficile quando la coppia che si separa ha figli minori e la separazione diviene rottura di un sistema familiare, in cui si è creduto e investito gran parte delle proprie risorse e affetti.
Quali strade possono intraprendere le coppie che si separano?
Prendiamo ad esempio Fabio e Laura, una coppia con figli che si separa e che ha di fronte a sè tre diverse possibilità:
Nel primo caso, Fabio e Laura, seppure la loro relazione intima sia conclusa e nonostante il dolore e la frustrazione sperimentati, riusciranno a salvaguardare l’ambito genitoriale. Parleranno quindi tra loro, arrivando a condividere la gestione dei figli e la loro educazione, coordinando i propri ruoli e rispettandosi reciprocamente. I figli percepiranno i genitori comunque uniti, anche se questi non stanno più insieme. Lo stile educativo e le regole da seguire saranno quindi chiare, condivise e coerenti.
Nel secondo caso la coppia, pur mantenendo ciascuno il legame con i figli, avrà difficoltà a comunicare e a condividere le proprie scelte. Le occasioni di incontrarsi saranno drasticamente ridotte, per evitare che si generino conflitto e tensione ed entrambi agiranno nell’ambito genitoriale in maniera autonoma e disgiunta, come se l’altro non esistesse. Pertanto i figli si troveranno a vivere in due realtà separate e distanti. Due universi paralleli che non si incontrano mai. Una condizione resa ancor più faticosa e frustrante, qualora lo stile educativo e le regole siano diversi, se non addirittura opposti. Tale confusione potrà portare i figli a rifiutare le regole di entrambi i genitori.
Nel terzo caso, Fabio e Laura avranno tra loro una relazione ostile e conflittuale che li porterà a coinvolgere i figli nelle loro dispute. Il dolore e la rabbia per la fine dell’unione prenderanno il sopravvento e dall’ambito coniugale invaderanno anche l’ambito genitoriale. Per un meccanismo chiamato spill-over, infatti, il conflitto generatosi all’interno della coppia può arrivare ad influenzare negativamente anche il rapporto genitoriale. La coppia si troverà ad arroccarsi sempre più sulle proprie posizioni e ciò si tradurrà in atteggiamenti di critica, disprezzo e ostruzionismo che irromperanno anche nella gestione dei figli ed ogni contatto diventerà occasione di interminabili e aspre discussioni.
Ed è questo terzo caso che ci interessa approfondire poiché il malessere psicologico che vi si genera spesso si traduce in un asprimento della conflittualità, che travalica la sfera privata e il cui esito è un conflitto legale, necessario per stabilire modalità di affidamento e regime di frequentazione dei figli. Il costo in termini psicologici – ed economici – per la coppia e per i figli coinvolti è, come possiamo immaginare, altissimo.
Proprio in queste situazioni, caratterizzate da una così elevata conflittualità, il giudice può nominare un Consulente Tecnico d’Ufficio (art. 61 c.p.c.), uno psicologo o uno psichiatra che, assumendo il ruolo di ausiliario del giudice, ha il compito di applicare la regola giuridica al fine di tutelare l’interesse superiore del minore.
Ma cosa si intende per interesse del minore?
Il concetto è complesso e di difficile definizione. Per ora basti dire che la legge sull’affidamento condiviso – Legge 54 del 2006 – sancisce il diritto del minore alla bigenitorialità, ovvero la salvaguardia dei legami affettivi del figlio con entrambi i genitori e i rispettivi rami familiari.
Abbiamo quindi fatto chiarezza sull’orientamento che deve guidare l’azione del consulente nominato dal giudice, ma cosa dobbiamo aspettarci?
Nella pratica in verità non vi sono norme specifiche da seguire rispetto alla metodologia, per cui è possibile che essa possa variare in base all’approccio teorico che il consulente segue.
Generalmente le operazioni peritali iniziano con un colloquio congiunto delle parti, in cui viene data lettura dei quesiti posti dal giudice al consulente, relativi soprattutto al regime di affidamento e di visita.
Il primo colloquio ha una duplice finalità: raccogliere informazioni sulla storia della coppia e sul tipo di relazione che attualmente la caratterizza.
Successivamente possono essere predisposti degli incontri individuali, per raccogliere informazioni sulla storia personale di ognuno.
Un’altra fase importante e delicata riguarda l’incontro con il minore che, a seconda dell’età, può essere predisposto secondo modalità differenti: con i minori dai 7 anni in su viene generalmente effettuato un colloquio; per i più piccoli invece si preferisce utilizzare il gioco, che rappresenta una modalità di comunicazione più familiare e meno ansiogena per il bambino.
Il consulente può inoltre avvalersi di una batteria di test psicodiagnostici con i quali approfondire l’indagine peritale in corso.
Al termine degli incontri, al consulente è richiesto di elaborare una relazione finale da consegnare al giudice.
Gli accordi, che possono essere raggiunti al termine di una CTU, sono spesso indicazioni puntuali e dettagliate sulla gestione dei figli e sul regime di frequentazione.
E questo mi porta a condividere un’interessante riflessione, che chi lavora con le famiglie altamente conflittuali non tarda ad imparare.
Siamo tutti abituati a pensare alla flessibilità come ad un concetto desiderabile e sempre auspicabile. Nelle situazioni altamente conflittuali la flessibilità può però diventar foriera di scontri e malintesi, con il risultato di incrementare il conflitto e impantanare ancor di più la coppia.
Per questo motivo si preferisce procedere verso una chiara definizione di tempi e spazi, che diano forma e struttura ad una relazione cogenitoriale, fino a quel momento sospesa e bloccata.
In quest’ottica la consulenza può essere una palestra all’interno della quale allenarsi ad essere genitori insieme. Essa stessa può assumere un valore trasformativo e rappresentare un’occasione per ri-pensare e ri-narrare la propria storia di coppia e familiare, alla scoperta di significati inediti e occhi nuovi con cui guardare.
Succede allora che si riesca a mettere un segno tra ciò che è stato e ciò che è nel momento presente. Un confine tra una storia di coppia, ormai terminata, e il futuro di un’altra coppia, quella genitoriale, che non si lascerà mai.
Articolo dell’ Ordine degli Psicologi del Lazio