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RORSCHACH e TAT Proiezioni a Confronto

RORSCHACH e TAT: proiezioni a confronto

I test Rorschach e TAT sono i reattivi mentali più diffusi e utilizzati in ambito clinico, forense e di ricerca.

La loro divulgazione è stata facilitata dall’indiscussa validità diagnostica e la forte potenzialità predittiva. Entrambi, infatti, rientrano tra test proiettivi in quanto metodi di studio della personalità che mettono il soggetto dinanzi ad uno stimolo ambiguo al quale, invitato ad interpretare, risponderà conformemente al suo vissuto e alla sua maniera di sentire.
Riteniamo che i due test consentono di ottenere una “radiografia” dettagliata del funzionamento e della personalità del soggetto, seppur con modalità di somministrazione diverse tra loro.

Rorschach e TAT differenze

Una prima e sostanziale differenza si riscontra già nella fase iniziale della consegna delle tavole, così come nel livello di strutturazione dello stimolo a cui il soggetto viene sottoposto.

Di contro, ciò che li accomuna maggiormente risiede nel meccanismo di proiezione sui quali entrambi si fondano. La proiezione è un meccanismo di difesa arcaico e primitivo che consiste nell’attribuire i propri sentimenti o affetti indesiderati ad altri oggetti o persone (Freud). Attraverso un meccanismo inconscio la persona si protegge proiettando “sull’altro” qualità, desideri o sentimenti che sono propri del suo Io ma che in realtà il soggetto non riconosce come appartenenti a sé.

La proiezione appare, quindi, come il meccanismo di difesa originario contro le eccitazioni interne che risultano essere troppo spiacevoli per il soggetto a causa della loro intensità e che, quindi, vengono “proiettate” sulla realtà esterna. Il soggetto, dunque, svolge una duplice funzione poiché da una parte accoglie nel suo Io gli oggetti che si presentano ad esso in quanto fonte di piacere e li introietta, ma dall’altra espelle al di fuori del sé ciò che nel mondo interno è fonte di dispiacere.

Pertanto, quando parliamo di test proiettivi ci riferiamo a metodi di indagine della personalità che pongono il soggetto difronte ad uno stimolo che richiede un’interpretazione. Essa sarà, quindi, frutto di dinamiche interiori che il soggetto proietta nello stimolo dato. Sottoposto a stimoli ambigui, ovvero suscettibili di diverse interpretazioni, la persona metterà in atto delle strategie di interpretazione dello stesso per svolgere il compito richiesto.

Il processo base su cui si fondano i test proiettivi consiste, dunque, nello stimolo percettivo delle tavole al quale corrisponde una reazione del soggetto che sfocerà poi nella formulazione di una risposta. Ad esempio per rispondere alla domanda “cosa potrebbe essere questo?”, il soggetto si muove attraverso una serie di aggiustamenti, ovvero parte da quella che è una prima impressione percettiva, suscitata dal materiale così poco strutturato, per poi arrivare ad un’associazione da cui deriva l’elaborazione di un’immagine che può solo avere un legame sufficiente con l’impressione percettiva. Il risultato di tale operazione mentale si concretizza nella formulazione di una risposta.

Le risposte prodotte dal soggetto, quindi, rifletteranno

  • il vissuto emotivo,
  • i desideri,
  • i costrutti mentali,
  • il rapporto che il soggetto ha con la realtà.

Una nuova esperienza viene assimilata e poi trasformata ad opera della passata esperienza, ovvero il soggetto elaborando ciò che vede, mette delle proprie proiezioni nell’interpretazione dello stimolo.
È proprio grazie a questo meccanismo che lo psicologo clinico, esperto nell’interpretazione dei test, ha la possibilità di conoscere approfonditamente le caratteristiche di personalità, accedendo così ad aree molto intime e personali del somministrando.

IL TEST DI RORSCHACH NON E’ UN TEST PROIETTIVO!

Infatti, a differenza del Thematic Apperception Test (TAT), non è stato creato come strumento proiettivo ma è stato inizialmente utilizzato per individuare delle differenze di immaginazione e fantasia tra gli studenti più dotati e quelli meno dotati.

È da questo primo esperimento che si sviluppò l’intuizione di Rorschach nell’andare a confrontare le risposte dei pazienti schizofrenici con le risposte che fornivano, alle stesse macchie di inchiostro, altri pazienti non schizofrenici. I risultati di questa prima clamorosa ricerca, che evidenziava le marcate differenze tra le risposte fornite tra i due gruppi di studio, non ebbero alcun riscontro una volta presentati alla locale società psichiatrica. Da quel momento Rorschach mise da parte l’interesse per questo tipo di studio.

Solo in seguito se ne apprezza il valore psicodiagnostica e la conseguente diffusione tra i clinici di orientamento dinamico per poi essere considerato da Frank nel 1939 una “tecnica proiettiva”. Va da se che gli stimoli poco definiti di cui si compone il test di Rorschach elicitano il ricorso a libere associazioni nel momento in cui si chiede al soggetto di interpretare le macchie-stimolo.

Ad oggi il test del Rorschach, pubblicato nel 1921 prendendo il nome dello stesso autore, lo psichiatra svizzero Hermann Rorschach, ha visto un’enorme diffusione nel mondo della psicologia, divenendo oggi lo strumento proiettivo di più diffuso utilizzo che consente di ottenere un’analisi dettagliate del funzionamento globale del soggetto, ovvero delle diverse aree funzionali quali cognitive, affettive e relazionali.

Il test del Rorschach è composto da tavole raffiguranti macchie non completamente strutturate. Le tavole vengono presentate in ordine e la consegna prevede che il soggetto descriva tutto quello che in esse scorge, senza limiti di tempo. Pertanto il soggetto, messo a confronto con uno stimolo così poco strutturato, inconsapevolmente sente la necessità di attribuirvi un senso, ricercandolo nel proprio vissuto interiore, nelle proprie esperienze e nella propria personalità.

La necessità di attribuire sempre un significato o una struttura alle cose è tipica dell’essere umano che per sua natura sente il bisogno di avere il pieno controllo delle situazioni. Tuttavia, nell’approccio iniziale al test, tale controllo viene perso. Pertanto il test di Rorschach, può smuovere sensazioni di smarrimento nella persona che si trova per la prima volta dinanzi ad uno stimolo così poco strutturato.

Subito dopo il test del Rorschach, tra i metodi proiettivi più utilizzati, troviamo il TAT.

Il Thematic Apperception Test, introdotto da Morgan e Murray nel 1935, è il più popolare test di figure designato ad elicitare la produzione di storie. Sin dalle sue origini il TAT ha visto un’accoglienza entusiasta e la diffusione è stata talmente rapida che già nel 1950 erano stati pubblicati diversi libri ed articoli e sul suo utilizzo.

Il TAT, dunque, a differenza del Rorschach, è una tecnica proiettiva tematica che si avvale di una serie di tavole che rappresentano un’ampia varietà di situazioni e di contesti interpersonali. La consegna del TAT implica la creazione da parte del soggetto esaminato, di una storia fondata su ciò che il soggetto crede stia accadendo nella figura rappresentata dalla tavola.

Nelle tavole del TAT le figure rappresentate possono essere interpretate, da un punto di vista psicologico, come una serie di situazioni e relazioni sociali. Il soggetto, quindi, non interpreta macchie-stimolo, come accade nel Rorschach, ma reagisce a situazioni che considera “come se fossero reali” e che, proprio per questo, gli permettono di esprimere maggiore libertà senza necessariamente aderire a norme di comportamento convenzionali: le risposte riveleranno quindi i sentimenti più autentici.

Entrambi i test esaminati richiamano un vissuto emotivo molto forte nella persona a cui sono somministrati, che in qualche modo viene “messa a nudo”. E’da sottolineare che i diversi stimoli di un test potrebbero attivare sentimenti di angoscia nei confronti dei quali il soggetto attiverebbe dei meccanismi difensivi. L’interpretazione dettagliata del test ci permette di individuare anche questo tipo di funzionamento che il somministrando potrebbe mettere in atto nel rapportarsi ad uno stimolo ansiogeno.

Freud attribuisce all’Io la funzione difensiva e la definisce come quel processo dinamico che consiste nell’allontanare da sé i moti pulsionali e le relative rappresentazioni ideative o affettive legate ad esse, perché considerate pericolose e fonti di gravi disagi.

Le difese agiscono contro tutto ciò che in qualche modo è considerato discordante dal quadro complessivo delle proprie rappresentazioni psichiche, e in quanto tale è temibile. Non potendo l’Io distruggere le pulsioni ed i loro derivati, se ne difende facendo qualcosa che possa impedire la loro espressione, li allontana dalla coscienza. L’Io si difende dalle minacce dell’Es, modificando i desideri inconsci, considerati inaccettabili, in pensieri consci e quindi socialmente accettabili.

I test proiettivi si avvalgono di una forza tale da “penetrare” nel nostro vissuto, andando a bypassare i meccanismi inconsci, così da far individuare il vissuto interiore e tutto ciò che caratterizza la personalità del soggetto.

Pertanto fare diagnosi consente di conoscere tutto del soggetto, gli aspetti più visibili e quelli più nascosti, come il soggetto funziona e cosa non va in lui. Sulla base di quanto emerso dalla somministrazione dei test, il clinico ha la possibilità di definire ed orientare l’eventuale percorso terapeutico, che, proprio perché fondato su una psicodiagnosi più completa, risulterà essere più funzionale.

dott. Stefano Caruson, dott.ssa Paola Tridente

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